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Dal PNRR spinta agli investimenti

Gli strumenti finanziari principali, attraverso i quali passa l’attuazione della politica di coesione e che per tale ragione sono quelli che presentano la maggiore dotazione finanziaria, sono quattro:

il Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR), destinato a contribuire alla correzione dei principali squilibri regionali esistenti nell’Unione, partecipando allo sviluppo e all’adeguamento strutturale delle regioni in ritardo di sviluppo nonché alla riconversione delle regioni industriali in declino (articolo 176 TFUE);

il Fondo sociale europeo (FSE, dal 2021 denominato Fondo sociale europeo Plus – FES+), ha l’obiettivo di promuovere all’interno dell’Unione le possibilità di occupazione e la mobilità geografica e professionale dei lavoratori, nonché di facilitare l’adeguamento alle trasformazioni industriali e ai cambiamenti dei sistemi di produzione, in particolare attraverso la formazione e la riconversione professionale (articolo 162 TFUE);

il Fondo di coesione (FC), istituito per l’erogazione di contributi finanziari a progetti in materia di ambiente e di reti transeuropee nel settore delle infrastrutture dei trasporti (articolo 177 TFUE) negli Stati membri con un reddito nazionale lordo (RNL) pro capite inferiore al 90% della media dell’Unione[11];

il Fondo per una transizione giusta (Just Transition Fund – JTF) è uno strumento fondamentale per sostenere i territori maggiormente colpiti dalla transizione verso la neutralità climatica e prevenire l’esacerbarsi delle disparità regionali. Al fine di conseguire il suo obiettivo, il Fondo sostiene gli investimenti in settori quali la connettività digitale, le tecnologie per l’energia pulita, la riduzione delle emissioni, il recupero dei siti industriali, la riqualificazione dei lavoratori e l’assistenza tecnica.

Gli altri strumenti delle politiche di intervento dell’Unione Europea che concorrono al conseguimento della coesione – nelle sue tre componenti economica, sociale e territoriale – sono i seguenti:

Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca (FEAMP), nuovo strumento finanziario di sostegno del settore pesca e acquacoltura per il periodo di programmazione 2021-2027;

Fondo Asilo, migrazione e integrazione (AMIF), uno strumento con l’obiettivo di promuovere una gestione integrata dei flussi migratori sostenendo tutti gli aspetti del fenomeno: asilo, integrazione e rimpatrio.

Fondo per la sicurezza interna (ISF), che contribuisce a garantire un elevato livello di sicurezza nell’Unione, prevenendo e combattendo il terrorismo e la radicalizzazione, le forme più gravi di criminalità, il crimine organizzato e la criminalità informatica, assistendo e proteggendo le vittime di reato, preparandosi agli incidenti, ai rischi e alle crisi connessi alla sicurezza;

Strumento per la gestione delle frontiere e dei visti (BMVI) che comprende due componenti: lo Strumento per la gestione delle frontiere e i visti (BMVI) e lo Strumento relativo alle attrezzature per il controllo doganale (CCEI), al fine di garantire una gestione europea integrata delle frontiere solida ed efficace alle frontiere esterne e sostenere la politica comune in materia di visti.

Va evidenziato che, ai fini della nomenclatura delle diverse politiche e dell’attribuzione ad obiettivi specifici degli strumenti di intervento, il Fondo europeo agricolo di garanzia (FEAGA) ed il Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR)[12], per la fase di programmazione 2021 – 2027 sono stati “assegnati” al sostegno della realizzazione degli obiettivi inerenti alle politiche relative alle risorse naturali ed ambiente dell’Unione Europea e non alla Coesione e, come tali, sono stati considerati in sezioni differenti del bilancio unionale post 2020.

Fonte: https://www.ildirittoamministrativo.it/I-fondi-strutturali-e-il-PNRR-a-confronto-Cucumile/ted886

Grazie agli investimenti pubblici le imprese italiane hanno continuato ad investire anche nei periodi seguenti alla pandemia facendo fronte alle conseguenze relative alla pandemia ed alla guerra in Ucraina. Beneficiando in entrambe le occasioni del supporto pubblico incluso il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza( PNRR). Il contesto si è reso più complicato con la risalita dei tassi di interesse. Se l’indagine della BEI mostra che le condizioni di accesso al credito sono migliorate e non evidenziano margini di differenza rispetto agli altri paesi UE, dall’altro è inevitabile che l’aumento dei tassi di interesse non si faccia non sentire nel mercato del finanziamento. La politica economica italiana deve perciò agire per massimizzare l’assorbimento delle risorse economiche disponibili, migliorare la capacità di gestione degli interventi pubblici  e rimuovere o ridurre gli ostacoli che frenano gli investimenti privasti. Tuttavia la situazione italiana si tinge di grigio quando si analizzano i dati: solo il 41% delle imprese hanno investito in digitalizzazione contro una media UE del 53%. Il 55% delle imprese italiane anche grazie agli aiuti ricevuti dal governo e dall’UE hanno adottato misure in risposta alla pandemia e nonostante questo solo il 41% DI ESSE HANNO INVESTITO IN DIGITALIZZAZIONE CONTRO UNA MEDIA ue DEL 53%. Nel complesso circa il 68% delle imprese italiane utilizza almeno una tecnologia digitale avanzata che per quanto i linea con la media europea fa da contaltare ad un risultato non eclatante: se si guarda a quante tecnologie vengono adottate contemporaneamente dalla medesima impresa si vede che la realtà italiana è piuttosto distante da quella europea. Tuttavia i ripetuti shock economici non hanno fermato l’innovazione delle imprese italiane. Quasi metà (47%) hanno perseguito lo sviluppo o l’introduzione di nuovi prodotti, processi o servizi superando la media UE che si ferma al 34%. Sul piano della transizione climatica urge evidenziare che le imprese italiane hanno realizzato investimenti per contrastare il cambiamento climatico nella misura del 36% mentre nel 39% se si considerano quelle che hanno intenzione di effettuarne sono comunque inferiori di quelle delle imprese europee(53 e 51%). La quota delle imprese che considera l’introduzione di normative e standard più stringenti come un’opportunità è cresciuta rispetto all’indagine del ’21 (dal 24,7 al 28,4%) particolarmente tra le grandi imprese suggerendo come la propensione a cogliere i vantaggi della transizione climatica possa repentinamente aumentare.

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