Valutazione sulla convenienza al riversamento del credito alla luce delle novità della legge di Bilancio e dell’attuale orientamento dei giudici tributari
Legge di Bilancio e Telefisco 2023:
ultime novità sul riversamento del credito Ricerca & Sviluppo
La procedura di riversamento spontaneo del credito R&S[1] indebitamente compensato, introdotta dall’art. 5 del D.L. n. 146/21 (conv. in L. n. 215/21) per deflazionare il ricorso al contenzioso, offre alle aziende (senza preclusioni in base a forma giuridica o attività svolta) che si sono avvalse in modo non corretto di un credito d’imposta maturato nel periodo 2015-2019 per attività di ricerca e sviluppo, la possibilità di procedere alla regolarizzazione della propria posizione fiscale attraverso il riversamento (anche rateale) dell’importo del credito utilizzato in compensazione. L’art. 1 c. 271 della L. 197/2022 (c.d. Legge di Bilancio 2023) ha rinviato al 30/11/2023 il termine per presentare la domanda di riversamento del credito R&S[2] tramite apposito modello[3], senza però modificare i termini per il versamento del credito, che dovrà avvenire entro il 16/12/2023 se in un’unica soluzione, o in tre rate annuali da pagare rispettivamente entro il i) 16/12/2023, ii) 16/12/2024, iii) 16/12/2025.
Si ricorda che per il versamento il contribuente non potrà avvalersi della compensazione tramite modello di pagamento F24 di cui all’art. 17 D. Lgs. 241/1997, e che la rateazione è possibile solo qualora l’utilizzo del credito sia già stato «constatato», anche solo «con atto istruttorio».
Al fine di poter aderire a tale procedura, il contribuente che abbia realmente svolto un’attività in tutto o in parte non qualificabile come attività di ricerca e sviluppo, deve aver commesso in buona fede errori nella determinazione del credito d’imposta e, nello specifico, deve trovarsi in almeno una delle seguenti condizioni: aver commesso errori nella quantificazione o nell’individuazione delle spese ammissibili in violazione dei principi di pertinenza e congruità; aver commesso errori nella determinazione della media storica di riferimento; aver erroneamente applicato l’art. 3 c. 1-bis D.L. n. 145/2013 ai fini del riconoscimento del credito d’imposta ai soggetti residenti o a stabili organizzazioni in Italia di soggetti non residenti che eseguono attività di R&S nel caso di contratti con imprese residenti o localizzate in altri Stati membri UE, negli Stati aderenti all’Accordo sullo Spazio economico Europeo ovvero in Stati con i quali è attuabile lo scambio di informazioni ai sensi delle convenzioni per evitare le doppie imposizioni sul reddito.
Tale possibilità è preclusa dalla definitività della contestazione al 22 ottobre 2021, data di entrata in vigore del D.L.; definitività che, come chiarito dal Provvedimento n. 188987 dell’1/06/2022 al punto 2.1, è determinata dallo spirare dei termini di impugnazione, da sentenze passate in giudicato, nonché dal pagamento o da ogni altra forma di definizione. Inoltre, la constatazione dell’utilizzo del credito preclude, oltre – come già segnalato – alla rateazione, il riversamento “parziale”.
Il Provvedimento, al punto 8.4, ha chiarito inoltre che «la rateazione è ammessa nel caso in cui il contribuente che aderisce alla procedura è stato interessato da atto di recupero o atto impositivo, notificato successivamente alla data del 22 ottobre 2021, ovvero da constatazione contenuta in un processo verbale consegnato successivamente alla medesima data».
In tale ipotesi (notifica successiva al 22/10/2021), come precisato dall’Agenzia delle Entrate in occasione di Telefisco 2023, è ammessa anche la possibilità della sanatoria parziale dei rilievi indicati nei medesimi verbali, sulla base di autonome valutazioni del contribuente che saranno successivamente oggetto di controllo da parte degli Uffici competenti.
L’accesso alla procedura di riversamento è in ogni caso escluso[4] nei casi in cui il credito d’imposta utilizzato in compensazione: i) sia il risultato di condotte fraudolente, di fattispecie oggettivamente e soggettivamente simulate, di false rappresentazione della realtà basate sull’utilizzo di documenti falsi o di fatture che documentano operazioni inesistenti; ii) sia privo di documentazione idonea a dimostrare il sostenimento delle spese ammissibili.
Quindi particolare attenzione si deve porre in tal senso.
Una volta valutato il carattere dell’innovazione in sé, il contribuente che intende riversare il credito d’imposta deve valutare che la documentazione a disposizione per certificare la correttezza della fruizione del credito stesso non possa essere giudicata “materialmente” o “ideologicamente” falsa: ciò infatti trasformerebbe in automatico tale procedura (che verrebbe quindi rigettata dall’Agenzia) in una vera e propria autodenuncia.
La certificazione “ora per allora” della qualificazione delle attività ai fini del riconoscimento del credito R&S
Una delle modifiche più significative della Legge di bilancio, L. n. 197/2022, è contenuta nell’art. 1 c. 272, il quale ha modificato, estendendone l’ambito applicativo, l’articolo 23 c. 2 del D.L. 73/2022 che introduceva la certificazione delle qualificazione delle attività svolte per il credito ricerca e sviluppo.
Tale certificazione[5], che può essere richiesta preventivamente (fino alla notifica del p.v.c.), altro non è che l’attestazione che gli investimenti effettuati nell’ambito Ricerca e Sviluppo siano realmente ammissibili al beneficio. Ciò non è di poco conto se si pensa alle conseguenze che può avere in termini di valutazioni ad effettuare o meno il riversamento del credito, anche e soprattutto in un’ottica di pre-contenzioso. Infatti, se non contestata, tale certificazione ha effetti vincolanti per l’Amministrazione Finanziaria, a meno che non venga rilasciata per un’attività diversa da quella realizzata, sulla base di una non corretta rappresentazione dei fatti.
Con la modifica introdotta dalla legge di bilancio 2023, si prevede che tale certificazione possa essere richiesta «a condizione che le violazione relative all’utilizzo dei crediti d’imposta previsti dalle norme citate nei medesimi periodi non siano già state contestate con il processo verbale di constatazione»[6], mentre in precedenza era sufficiente la «formale conoscenza» di «accessi, ispezioni, verifiche o altre attività amministrative di accertamento»[7].
Quanto ai soggetti abilitati alla certificazione, l’art. 23, comma 3, del D.L. 73/2022, rimanda ad un DPCM (non ancora emanato) l’individuazione di modalità e condizioni della procedura, nonché dei requisiti di professionalità, onorabilità e imparzialità dei certificatori inclusi in un apposito albo tenuto dal Ministero dello sviluppo economico, nel quale saranno «compresi, in ogni caso, le università statali, le università non statali legalmente riconosciute e gli enti pubblici di ricerca».
L’efficacia di tale strumento è dunque da verificare e molto dipenderà dai termini in cui verrà emanato il DPCM; di certo la certificazione rappresenta per il contribuente uno strumento “sostitutivo” rispetto al parere tecnico[8] che si poteva richiedere al Mi.S.E., ora Ministero delle Imprese e del Made in Italy, con delle differenze. Il parere tecnico è preventivo ed è fornito direttamente dal Mi.Se, mentre la certificazione può essere presentata anche ex post (fino alla notifica del p.v.c.) e sarà rilasciata da soggetti qualificati, esterni alla Pubblica Amministrazione, dotati dei requisiti previsti dall’emanando DPCM ed iscritti ad un albo ministeriale, che comunque agiranno attenendosi alle linee guida fornite dal Ministero delle Imprese.
I certificatori dovranno porre particolare attenzione al concetto di “innovazione”, in quanto l’Agenzia considera preliminarmente che l’investimento che genera il credito, per essere utilizzato, sia volto al superamento di un ostacolo tecnico-scientifico che non risulta in nessun modo risolvibile dall’intero settore di riferimento. Si tratta, però, di comprendere le conseguenze nel caso in cui gli attestatori optino per una interpretazione che successivamente venga smentita dalla Corte di cassazione. Si pensi, ad esempio, all’ipotesi in cui venga attestata la corretta spettanza di un credito rispetto a una ricerca che ha prodotto una novità non intesa assoluta a livello “universale” (come preteso dall’Agenzia delle Entrate): in casi del genere la certificazione avrà un concreto valore per contrastare la posizione dell’Ufficio oppure, sulla scorta di siffatte eventualità, i certificatori assumeranno, in via prudenziale, posizioni in linea con quelle dell’Ufficio? Ed inoltre, entro quali limiti la certificazione sarà contestabile dall’Amministrazione Finanziaria?
Certificazione e fruibilità del credito: il difficile rapporto con l’Agenzia delle Entrate
Negli ultimi anni l’azione ispettiva del Fisco è sempre più orientata alla verifica dell’effettività dell’attività svolta in ambito di ricerca e sviluppo, con particolare riferimento ai requisiti che il Manuale di Frascati richiede affinché un’attività di R&S sia considerata tale: novità, creatività, incertezza, sistematicità, trasferibilità e/o riproducibilità.
L’Agenzia delle Entrate è arrivata di frequente, peraltro senza mai ricorrere ad un parere del Mi.S.e., a contestare la legittimità dell’utilizzo del beneficio fiscale proprio in relazione all’opposta assenza di un pieno riscontro dei criteri indicati nel sopracitato Manuale.
Le controversie sul tema sono spesso nate con specifico riferimento al requisito della novità.
Infatti, come più volte chiarito anche dalla stessa Agenzia delle Entrate[9], nel campo di applicazione del credito d’imposta non rientrano automaticamente tutte le attività che l’impresa intraprende nel suo processo di innovazione, ma esclusivamente quelle – svolte internamente ovvero commissionate all’esterno – che si caratterizzano per la presenza di reali contenuti di ricerca e sviluppo secondo i criteri di classificazione e qualificazione indicati nel Manuale di Frascati: vale a dire le attività che nell’ambito di un determinato progetto finalizzato all’introduzione di un nuovo prodotto (bene o servizio) o di un nuovo processo (di produzione di un prodotto) – o finalizzato ad apportare significativi miglioramenti a prodotti o processi esistenti – si rendano necessarie per il superamento di un problema o di un’incertezza scientifica o tecnologica, la cui soluzione non sarebbe possibile sulla base dello stato dell’arte del settore di riferimento e cioè applicando le tecniche o le conoscenze già note e disponibili in un determinato comparto scientifico o tecnologico.
Per converso, devono ritenersi escluse le attività che, pur dando luogo a un ampliamento del livello delle conoscenze o delle capacità della singola impresa, derivino essenzialmente dall’effettuazione di investimenti volti all’introduzione da parte della stessa di tecnologie e conoscenze già note e diffuse nell’ambito del settore di appartenenza[10].
L’attuale giurisprudenza sembra riconoscere il fatto che l’Amministrazione Finanziaria non possa svolgere in autonomia le valutazioni tecniche per disconoscere il credito d’imposta senza il coinvolgimento dell’ente competente, il Mi.S.e[11]. In particolare, esiste un filone giurisprudenziale a tutela del contribuente che tende ad “ammonire” il lavoro istruttorio operato dall’Agenzia delle Entrate in assenza delle adeguate competenze tecniche.
Non solo. Concorrono alla formazione di giudizi a favore del contribuente anche l’erronea interpretazione dei manuali di Oslo e Frascati ante 2019 (alla luce di nessuna qualsivoglia traduzione giurata in lingua italiana fino all’anno 2022) ed infine il quasi automatico inquadramento delle violazioni de quibus nell’ambito della fattispecie del credito inesistente e non del credito non spettante (per la distinzione, v. par. succ.).
Si richiama la sentenza CTR Valle D’Aosta. n. 22/01/2022 del 21/04/2022, in cui il Collegio, ritenendo infondata la tesi dell’Ufficio, richiamava altra giurisprudenza tributaria di seconde cure (CTR Emilia-Romagna n. 307/04/2021 del 1/3/2021) che, nel valorizzare la sufficienza di un obiettivo quid pluris dell’investimento per la singola realtà aziendale in termini di efficientamento dei processi, statuisce, con persuasivo e pertinente iter logico, quanto segue:
«le innovazioni scientifiche e tecnologiche per avere un ritorno positivo devono essere finalizzate ad uno scopo che varia a seconda della natura dell’impresa […] Il credito di imposta è certamente finalizzato a favorire le imprese che si impegnano nella ricerca, ma il concetto di ricerca e innovazione non può essere “ingessato”: le agevolazioni devono tenere conto della progettazione industriale e del miglioramento dell’offerta premiando le imprese che investono in tecnologia e ricerca.
Nel caso di specie, la ricerca effettuata dalla società non può essere declassata a semplice ammodernamento produttivo, ma deve essere considerato investimento verso una nuova tipologia di processo finalizzato a ottimizzare così i tempi e gli sfridi e al tempo stesso a rendere più veloce e competitiva la risposta dell’impresa sul mercato e a produrre prezzi adeguati a nuove richieste».
Ancora, sentenza CTP Aosta n. 12/01/2022 del 25/02/2022 secondo cui «il tenore normativo vigente, filtrato dal sentire giuridico dell’epoca, non portava a ritenere necessario che ogni singolo progetto dovesse necessariamente rappresentare un progresso significativo per l’umanità tutta, bastando che il beneficio tecnico tale fosse per l’unità operativa che l’avesse tradotto in realtà»[12].
La sentenza CTP Reggio Emilia n. 173/01/2022 del 14/09/2022, ha accolto il ricorso del contribuente, nonostante l’Ufficio accertatore avesse acquisito preventivamente il parere del Mi.S.e., in quanto ha ritenuto «che i prodotti frutto della ricerca fossero nuovi, cioè non esistenti prima nella gamma commerciale della Ricorrente e tanto basta per affermare il suo buon diritto al credito».
Diverso l’indirizzo delle sezioni penali della Corte di Cassazione[13] secondo cui, ai fini del perfezionamento della fattispecie delittuosa di indebita compensazione del credito d’imposta R&S[14], l’omessa acquisizione del parere del Mi.S.e. non assume rilevanza, non essendovi una «“riserva di accertamento” amministrativa pregiudiziale rispetto alle valutazioni del giudice penale».
Recupero credito d’imposta R&S: si tratta di credito inesistente o non spettante?
Applicare con oculatezza le dovute differenze tra i crediti fiscali non spettanti ed inesistenti ha una notevole rilevanza, soprattutto per il caso del credito R&S, sotto il profilo sanzionatorio, alla luce anche dell’approccio ispettivo seguito dall’Agenzia secondo cui il credito d’imposta R&S, se recuperato, è considerato de plano inesistente.
La fruizione di un credito inesistente, infatti, comporta una sanzione amministrativa dal 100% al 200%, oltre che l’impossibilità per il contribuente di “rimediare” servendosi degli istituti del ravvedimento operoso e della possibilità di presentare dichiarazione integrativa nonché, dal punto di vista penale, la reclusione da 6 mesi a 6 anni qualora l’importo indebitamente fruito superi i 50.000€ nel singolo periodo d’imposta.
Non da ultimo, un credito inesistente permette all’Agenzia un’estensione dei termini per l’accertamento: in tal caso la decadenza si verifica il 31 dicembre dell’ottavo anno successivo a quello di utilizzo del credito.
Diverso e più mitigato trattamento, invece, spetta al contribuente in caso di constatazione di un credito d’imposta non spettante: la sanzione scende al 30%, vi è la possibilità di accesso al ravvedimento operoso e alla dichiarazione integrativa, la reclusione è da 6 mesi a 2 anni qualora l’importo indebitamente fruito superi i 50.000€ nel singolo periodo d’imposta, mentre i termini decadenziali di accertamento scadono con la fine del quinto anno successivo alla dichiarazione.
Dunque, anche tale aspetto deve essere valutato in un’ottica di valutazione della convenienza al riversamento del credito, soprattutto considerando che l’Ufficio sembra disattendere la disposizione di cui all’art. 13, comma 5, del D.Lgs. n. 471/97, secondo cui inesistente è solo il credito fittizio, ovvero quello che difetta, in tutto o in parte, del presupposto costitutivo «e» la cui inesistenza non sia riscontrabile attraverso i controlli automatizzati e formali[15].
In questo dedalo normativo non va dimenticato però che, a seguito della riforma del processo tributario, l’onere di provare la sussistenza della più grave fattispecie della «inesistenza» ricade sul Fisco[16].
Cosa succede se il credito R&S non viene indicato nel quadro RU?
Nella valutazione sulla convenienza al riversamento, a quanto finora esposto si aggiunga un ulteriore filone giurisprudenziale riguardante le conseguenze dell’omissione del credito d’imposta R&S nel quadro RU della dichiarazione dei redditi, da cui viene fatta discendere la decadenza dal bonus.
Come è stato precisato dalla stessa Agenzia delle Entrate[17], la mancata indicazione del credito d’imposta nel quadro RU del modello dichiarativo relativo al periodo d’imposta dell’anno di maturazione e dei successivi non preclude l’agevolazione: la mancata indicazione è una violazione formale[18], “ravvedibile” presentando apposita dichiarazione integrativa. Infatti, né l’art. 3 del D.L. 145/2013, né il decreto attuativo prevedono l’indicazione del credito d’imposta nella dichiarazione annuale a pena di decadenza dal diritto all’agevolazione, concessa in via automatica a condizione dell’effettuazione delle spese agevolate e dell’avvenuta predisposizione della apposita documentazione contabile a supporto richiesta dalla normativa.
Tutti questi elementi vanno sicuramente tenuti in considerazione in una fase precontenziosa, anche ai fini di una possibile difesa avverso atti di recupero dell’Agenzia delle Entrate.
a cura di Cristina Rigato e Giorgia Sarragioto,
Centro Studi Dott Lovecchio & Partners
fonte:https://www.deottolovecchio.it/centro_studi/convenienza-riversamento-del-credito-ricerca-sviluppo/